Duri effetti del Decreto Dignità: 53mila lavoratori a rischio disoccupazione
A partire dal mese di gennaio sono circa 53mila i lavoratori italiani che rischiano di trovarsi di nuovo a casa, senza un lavoro. Il motivo è da riscontrarsi all’interno del Decreto Dignità.
A lanciare l’allarme è Federmeccanica, che nell’indagine congiunturale sull’industria ha messo in mostra quelle che sono le più grandi paure.
I dati parlano chiaro, e nel complesso quasi il 30% delle imprese si rifiuterà di andare a rinnovare i contratti a tempo determinato che sono giunti alla scadenza. All’interno di questo numero figurano, indistintamente, giovani lavoratori, ma anche figure professionali che da mesi sperano di poter ottenere un nuovo contratto di lavoro.
Decreto Dignità, A saltare è un lavoratore su tre
I numeri preoccupanti, che sono stati diffusi in questi giorni, parlano di un lavoratore su 3 a rischio. Fino a raggiungere proprio la cifra di 53mila persone che non potranno essere ricollocate dalle agenzie del lavoro. Per loro, infatti, sarà stato raggiunto il limite massimo di 24 mesi per un impiego a tempo determinato.
Peccato però che questo finale sia ben diverso rispetto a quanto si augurava il governo, che aveva alte aspettative sul Decreto Dignità. E’ nato al fine di ridurre i contratti precari, ma l’effetto ottenuto è l’esatto contrario. Molte aziende non fanno altro che orientarsi sulla sostituzione dei lavoratori, continuando a proporre così altri contratti a tempo determinato. Non a caso, il presidente di Confindustria Lecco Sondrio, ha parlato di un decreto che invece di migliorare la situazione, “rischia di penalizzare tutto il sistema”.
Nello specifico sembra essere il settore metalmeccanico quello più colpito dai mancati rinnovi, a testimonianza del momento di stop che si sta vivendo a livello economico su scala mondiale. E ovviamente, non mancano le colpe attribuite anche alla politica italiana.
L’intervento dell’ex premier Renzi
A parlare in questo momento di crisi è stato l’ex premier Matteo Renzi, che ha voluto chiamare in causa un paragone diretto tra Decreto Dignità e Jobs Act. Quest’ultimo, a differenza della legge voluta da Di Maio, era stato capace di creare un milione di posti di lavoro in più in 4 anni.
Va detto che la riforma ha dovuto affrontare una serie di riduzioni in termini di potenziamento del lavoro. Dopo i primi 12 mesi del contratto, è poi possibile rinnovarlo per un massimo di ulteriori 12 mesi. E’ obbligatorio indicare la causale, e il numero delle proroghe possibili è calata da 5 a 4.
E questi sono solo alcuni dei motivi scatenanti che portano alla convinzione che il decreto dignità sia il freno a mano tirato per il mercato del lavoro.